Gli sms o le chat su whatsapp possono costituire un’utile fonte di prova in giudizio. Questo è un principio ormai consolidato nelle aule di giustizia, suffragato anche da alcune sentenze della Cassazione.
Tra le più recenti, la pronuncia numero 5510 del 6 marzo 2017, con la quale i giudici hanno ritenuto i messaggini dell’amante del marito come una prova del tradimento commesso da quest’ultimo, idonea a giustificare l’addebito della separazione a carico del coniuge fedifrago.
Anche recentemente un uomo le ha utilizzate in giudizio per farsi restituire i soldi dall’ex amante. Il Tribunale di Ravenna, con la sentenza numero 231/2017, ha infatti condannato una donna a restituire all’ex amante i soldi che questi le aveva prestato per comprare un’auto, proprio basandosi sul contenuto delle conversazioni intrattenute tramite chat e depositate agli atti.
Nei messaggini, infatti, la donna si era impegnata a restituire le somme all’uomo con il quale all’epoca intratteneva una relazione clandestina, versando delle rate mensili di 200 euro e offrendo servizi di pulizia domestica.
La circostanza, per i giudici, è bastata a escludere inequivocabilmente che le somme per l’acquisto del veicolo siano state corrisposte come atto di liberalità. Oltretutto, posto che i due erano stati solo amanti per un determinato periodo e che l’uomo ha una compagna e probabilmente anche la donna ha un partner, per i giudici è stato evidente che non ci fossero altre motivazioni a giustificare le elargizioni.